Sull’acropoli del parco archeologico di Baratti e Populonia è in corso una campagna di scavi inaugurata lo scorso sedici settembre e nata dalla collaborazione tra Parchi Val di Cornia SpA, Soprintendenza e le Università di Siena e di Toronto. Lo scavo interessa soprattutto un edificio termale datato tra il II e il I secolo a. C., al momento visitabile solo dall’esterno.
Si tratta di uno degli edifici termali più antichi dell’Etruria romana – dunque di un’acquisizione molto importante per il parco archeologico – che potrà, a lavori ultimati, venire visitato anche internamente. È situato a fianco degli ambienti in cui nel 1841 fu trovato il mosaico con fondo marino, oggi esposto al museo archeologico di Piombino. La scena descritta nel mosaico è un naufragio: tre uomini nudi, con le braccia alzate, chiedono salvezza. Attorno ai loro corpi ci sono pesci, una conchiglia e un mollusco. L’immagine è capovolta rispetto al punto di vista dell’osservatore. Il mollusco, a seconda di dove lo si guarda, prende le sembianze di una colomba. Mollusco e colomba sono simboli della greca Afrodite e della romana Venere.
Venere, dea della bellezza e protettrice della navigazione, aveva il potere di mutarsi in colomba per indicare ai naufraghi il porto più vicino. La bellezza salva ed è capace di trasformarsi per mettersi al servizio.
Le rovine del sacello, presumibilmente dedicato a Venere, sull’acropoli del parco archeologico di Baratti e Populonia sembrano essere sopravvissute nei secoli per raccontarci che la bellezza soccorre, indica la strada. Se ne accorse, e ne restò affascinato, un noto mercante, poi archeologo, che fece un sopralluogo a Populonia nel 1875: Heinrich Schliemann.
Pochi sanno della sua presenza sulla costa toscana, documentata da E.J. Shepard (Schliemann a Populonia e altrove, 1875 in “Rassegna di Archeologia”, 24B, 2009-2011). Lo scopritore di Troia, prima di dedicarsi all’archeologia, lavorava per una ditta di esportazione olandese e, prima ancora, come garzone di bottega nella cittadina tedesca di Fürstenberg. Non sappiamo se fu Afrodite tramutata in colomba a metterlo in salvo, ma arrivò in Olanda da naufrago. Una tempesta distrusse l’imbarcazione Dorothea, che da Amburgo sarebbe dovuta arrivare in Venezuela, provocando la morte di metà dell’equipaggio. Schliemann sopravvisse e fu trovato sulle coste dell’isola di Texel. Non desiderava rientrare in Germania, sua terra natale, e gli fu concesso di rimanere ad Amsterdam, dove venne assunto come fattorino dalla ditta di esportazione B.H. Schroeder e C.
Schliemann aveva perso la madre all’età di nove anni. A quattordici anni era stato costretto a interrompere gli studi, per via delle pessime condizioni economiche in cui versava la famiglia. Garzone a Fürstenberg e fattorino ad Amsterdam, doveva mantenersi da solo. Durante la sua infanzia, il padre aveva regalato a lui e ai suoi fratelli un libro con incisioni di animali, un testo per lo studio della lingua francese e un volume intitolato Storia del mondo su cui era impressa un’immagine della città di Troia in fiamme. Quel dono avrebbe segnato il suo destino di amante degli animali (ampiamente descritti nei suoi diari), di studioso appassionato di lingue (arrivò a conoscerne una ventina) e di scopritore della città omerica. Carlo Levi scrisse nel 1967: “È questa colleganza che fa annunciare le cose piccole dalle grandi, le cose grandissime dalle minime, con un tuono lontano annuncia la tempesta, che è già in lui.” (“L’alba sul giardino” in Le ragioni dei topi, Donzelli Editore, Roma 2004).
Il regalo di Ernst Schliemann ai suoi figli fu il tuono che annunciò il cammino tortuoso, ma fortunatissimo, di Heirich; fu il piccolo segnale che gli aprì il cammino verso Troia. Heinrich portò sempre con sé il ritaglio della città omerica in fiamme: all’età di otto anni vide il suo destino e se lo mise in tasca.
Prima di poter pianificare la sua prima spedizione nella Troade, avrebbe tuttavia dovuto lavorare a lungo nel commercio. Grazie alla sua ottima conoscenza di numerose lingue, che apprese da autodidatta, la ditta olandese B.H. Schroeder e C lo promosse da fattorino ad agente commerciale e poi lo inviò in Russia, a San Pietroburgo, come suo rappresentante.
Quando decise di abbandonare definitivamente il commercio, nel 1868, aveva messo da parte denaro sufficiente per finanziarsi gli scavi. Lasciò sua moglie, Ekaterina Liščin, dalla quale ebbe due figli, e si recò in Grecia. Nella terra di Omero conobbe Sophia Engastromenou, che sposò e portò con sé in Turchia per la sua prima spedizione alla ricerca di Troia.
Il commerciante tedesco, nato nel 1822, aveva dovuto aspettare l’autunno della sua vita per potersi finalmente dedicare all’archeologia. La sua fede nel poeta greco, tuttavia, era sempre rimasta salda negli anni. Heinrich aveva una forte propensione a credere nelle fiabe, nelle leggende. Fin da bambino, sembrava vivere in un passato antecedente a Erodoto e Tucidide, nel quale il racconto della storia era ancora affidato al mito. Da piccolo, come si legge nel libro Alla scoperta di Troia, pubblicato nel 2004 da Newton Compton, amava trascorrere il tempo con il signor Wöllert, il sarto del paese, più conosciuto come “Pietro lo Zoppo” poiché aveva una gamba sola. Era anche cieco, come Omero il rapsodo, il cucitore di canti. Andava nella sua bottega per ascoltare le sue incredibili narrazioni e credeva a ogni sua parola, proprio come da adulto prese alla lettera la parola di Omero, l’Iliade, e l’utilizzò come mappa geografica per trovare Troia.
Heinrich Schliemann scoprì Troia nella collina di Hissarlik seguendo le indicazioni di Omero, di Pausania e le ricerche già avviate da Frank Calvert, funzionario consolare britannico.
Il cieco cantore dell’Iliade non lo tradì.
Sembra che ci sia una corrispondenza fra l’arte del tessere e l’arte di raccontare.
Il signor Wöllert era un sarto. I Fratelli Grimm attinsero materiale per i loro studi dalle narrazioni di Dorothea Wiehmann, moglie di un sarto, come Giuseppe Pitrè, il più importante raccoglitore e studioso europeo di tradizioni popolari del XIX secolo, trascrisse molte fiabe di Agatuzza Messia, sarta e sua novellatrice prediletta.
I sarti intrecciano al telaio i fili della trama con quelli dell’ordito, intrecciano storie, come il destino, la Moira, tesse le trame dei nostri accadimenti.
Heinrich Schliemann non dubitò mai del suo destino. Sapeva che avrebbe scoperto Troia, anche se ciò avrebbe richiesto molto tempo. I sogni, a differenza dei desideri, si nutrono del tempo e in esso si dispiegano. Il figlio di Ernst Schliemann dimostrò di avere tenacia, volontà e quest’ultima, come scrive Hannah Arendt nella sua opera La vita della mente, non ha a che fare con oggetti, ma con progetti: “La volontà trasforma il desiderio in un’intenzione”, mantiene cioè il desiderio in vita oltre ogni suo possibile appagamento, converte il desiderio in disponibilità.
Il progetto di scoprire Troia e avvicinarsi a Omero, fu davvero per il commerciante archeologo un sogno, accarezzato a lungo e infine, dopo innumerevoli sforzi e attese, realizzato. La villa che si fece costruire ad Atene – oggi sede del Museo numismatico – dove visse gli ultimi dieci anni della sua vita, doveva evocarne il sapore, come si legge nel libro di Emil Ludwig, Schliemann. Storia di un cercatore d’oro, uscito quest’anno per Castelvecchi : “versi di Omero, Esiodo e Pindaro presero il posto delle cornici alle pareti; […] Dal tetto, piano, tra le ventiquattro statue degli dèi, si poteva vedere il mare.”
Il mare, contro cui lo Schliemann ragazzo aveva lottato nel suo tentativo di raggiungere il Venezuela, poteva essere contemplato dallo Schliemann adulto, da sua moglie Sophia e dai loro figli, Andromaca e Agamennone, dal tetto della loro casa.
L’introduzione al libro di Emil Ludwig è di Sir Arthur Evans, lo scopritore della civiltà minoica e del palazzo di Cnosso.
L’archeologo inglese realizzò l’ultimo sogno di Schliemann di avviare scavi su Creta.
Alcuni sogni rimangono interrotti e, talvolta, hanno la fortuna di rivivere in altre persone e di essere portati a compimento. Del resto, Heinrich Schliemann, era riuscito a trascorrere molti anni tra gli scavi di Troia, di Micene, di Tirinto. A lungo aveva goduto della vista e della compagnia delle rovine, di quei “luoghi che non si sono uniti alla successiva attualità”, come le definisce María Zambrano nel suo saggio “Un luogo della parola: Segovia”.
Schliemann morì nel 1890 a Napoli, nei pressi di Piazza Carità, dove si dice che un tempo fossero soliti incontrarsi i mercanti. La sua tomba è nel cimitero di Atene, rivolta verso l’Acropoli. E chissà che un giorno non venga rinvenuta come un qualsiasi reperto, come una delle tante memorie materiali del passaggio dell’uomo sul pianeta.