Continua l’intervento di doppiozero a sostegno del Progetto Jazzi, un programma di valorizzazione e narrazione del patrimonio culturale e ambientale, materiale e immateriale, del Parco Nazionale del Cilento (SA). Pubblichiamo qui una serie di ritratti di camminatori e camminatrici, a partire da quello del linguista Gerhard Rohlfs; persone che hanno legato il proprio lavoro – più una passione che una professione – all’attività del camminare.
Gerhard Rohlfs, filologo, linguista e glottologo, nato a Berlino nel 1892, sviluppò le sue ricerche e organizzò il suo pensiero camminando, come lo scrittore Robert Walser.
Insegnò filologia romanza nelle Università di Tubinga e di Monaco di Baviera. Ricevette l’incarico di studiare i dialetti del Sud Italia da Jakob Jud e Karl Jaberg, due romanisti svizzeri, e prese quindi parte alla realizzazione dell’AIS (Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale).
Ho appreso dal libro di Salvatore Gemelli, Gerhard Rohlfs. Una vita per l’Italia dei dialetti, che il filologo tedesco era figlio di un vivaista e che, durante la sua infanzia, si divertiva a imparare a memoria nomi di piante e animali. Era già, nei suoi primi anni di vita, un amante della natura e della tassonomia.
Il giovane Rohlfs, studente liceale a Coburgo, abbinava allo studio lunghe scampagnate in cui andava a caccia di piante rare, sassi, serpenti e lucertole. La sua biografia ci racconta che tra il 1913 e il 1914 visitò a piedi centosettanta paesi tra la Svizzera e la Puglia; che nel 1924 raggiunse, in parte a piedi e in parte a cavallo, Roghudi, comune della Calabria. E che, dieci anni dopo, percorse i Pirenei sul dorso di un asino. Ogni viaggio era legato a una ricerca dialettale.
Della sua macchina si hanno notizie dagli anni Cinquanta.
Era un’arca la sua macchina: volumi di appunti, scatole con le schede glottologiche, scatoline piatte e scatoline bislunghe contenenti svariati campioni di erbe, di pianticelle esotiche e qualche insetto; e, in più, rametti adagiati con amore sulle scatole dietro la macchina, sul lunotto. Tutte queste cose erano poste lì, in attesa che decine di informatori ne precisassero la locale denominazione vernacola.
Il materiale presente al suo interno ci rivela che il ricercatore tedesco, adulto, viaggiava – e probabilmente aveva sempre viaggiato – a braccetto con il figlio del vivaista di Berlino, con quel bambino che si divertiva a imparare a memoria nomi di piante e animali.
Spesso le vocazioni hanno un andamento circolare. Si manifestano durante l’infanzia. Rivelano quale pegno desiderano ricevere, nell’età adulta (le scarpe consumate di Rohlfs). E tornano a manifestarsi nella vecchiaia attraverso gli oggetti-simbolo di ciò che abbiamo più amato, inseguito (schede glottologiche, campioni di erbe… ).
Un anno dopo il viaggio di Rohlfs a Roghudi, Robert Walser andò a piedi da Berna a Ginevra. In La passeggiata, Walser accosta l’atto del camminare a quello dello scrivere, e il primo sembra gettare le basi per il secondo. Lo scrittore di Bienne camminava per “andare a caccia di notizie”, per “osservare ogni minima cosa vivente”, per alimentare ciò che lui chiamava “sentimento del mondo”.
[…] se mi mancasse il sentimento del mondo, non potrei più scrivere nemmeno mezza lettera dell’alfabeto, né comporre alcunché in versi o in prosa. Senza passeggiare sarei morto e da tempo avrei dovuto rinunciare alla mia professione, che amo appassionatamente.
Lo scrittore svizzero e il professore tedesco nutrivano la propria arte e il proprio sapere attraversando paesaggi, in sintonia con il significato che Martin Heidegger avrebbe poi attribuito al verbo erfahren, esperire: “raggiungere qualcosa camminando lungo una via”. Oppure, come sosteneva Rohlfs, per adempiere al senso più alto del verbo ricercare, esperire, che implica un coinvolgimento, non solo intellettuale, ma anche fisico.
È stato durante un intervento su Radio3 dell’antropologa, scrittrice e fotografa Patrizia Giancotti, che ho conosciuto la figura di Gerhard Rohlfs. “Le ricerche non si fanno solo con la testa, ma anche con i piedi”. Suonava più o meno così una frase di Rohlfs che udii quel giorno alla radio.
L’intervento di Patrizia Ginacotti, fotografa e ricercatrice come Rohlfs, mi ha fatto ripensare a un affresco del Settecento dedicato al medico Giovanni Girolamo Sbaraglia che avevo visto nell’Archiginnasio di Bologna. Nell’affresco è ritratta l’allegoria dell’Esperienza, una donna seduta, con le braccia stese ai lati del corpo, e con i palmi delle mani rivolti verso il visitatore. Su ambo i palmi è dipinto un occhio.
Le mani, “organo degli organi”, come le definisce Giordano Bruno nella Cabala del cavallo pegaseo, vedono, conoscono, pensano e ci guidano nel fare esperienza. Il conoscere mette in moto tutto il corpo.
“Penso con gli occhi e con le orecchie/ E con le mani e i piedi/ E con il naso e la bocca”, scrive Fernando Pessoa, sotto l’eteronimo di Alberto Caeiro, nel libro Sono un sogno di Dio. La scrittura di Rohlfs e di Walser si è articolata in cammino. Ha avuto come carburante il moto e l’amore per il dettaglio, per le storie racchiuse in ogni dettaglio.
Rohlfs, nelle sue ricerche dialettali, ha intervistato cose e persone. Ha archiviato chissà quante parole in schede e piccoli quaderni, per tracciare l’identità linguistica di alcune aree del Sud Italia. Scrivere serve anche a questo, a tracciare identità. Le parole delineano comunità linguistiche e veicolano la storia di queste comunità. Nelle parole è inciso chi siamo e chi siamo stati.
El hablador di Mario Vargas Llosa, connette tra di loro membri sparsi del popolo Machiguenga. Cammina, come Rohlfs e come Walser, per ricordare a queste comunità disgregate da dove vengono, la loro storia recente e passata. Li aggiorna, attraverso i suoi racconti itineranti, sul loro stato attuale.
Alcuni scrittori, studiosi, hanno assolto anche questo compito. Si sono resi habladores per amore dell’essere umano, della realtà, o forse per rispondere a quel “sentimento del mondo”.
[…] Ho l’impressione che il parlatore non rechi solo notizie attuali. Ma anche del passato. È probabile che sia, pure, la memoria della comunità. Che svolga una funzione simile a quella dei trovatori e dei giuglari medievali.
Come tutti i camminatori, Rohlfs e Walser rifuggivano la fretta. Il professore tedesco non amava le interviste. Provava disagio nell’offrire parole che non fossero passate prima dal setaccio della riflessione, del pensiero, che ha sempre bisogno di tempo e raccoglimento per definizione.
In uno scatto fotografico del 1924, Rohlfs ritrasse un gruppo di contadine di Saracena durante la selezione del grano. Lo scrivere, a differenza del parlare, come insegna María Zambrano, è capacità di trattenere le parole prima che vengano consegnate al mondo esterno. Come le spighe di grano, le parole, nell’atto dello scrivere, vengono scelte, selezionate, per poi essere trasformate in farina, in pane, in nutrimento per la comunità.